• Ortensio Zecchino, perché non possiamo non dirci cristiani, letture e dispute sul saggio di B. Croce-[P. Giustiniani]

  • Oct 12 2024
  • Length: 24 mins
  • Podcast

Ortensio Zecchino, perché non possiamo non dirci cristiani, letture e dispute sul saggio di B. Croce-[P. Giustiniani]

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  • Ortensio Zecchino, Perché non possiamo non dirci “cristiani”. Letture e dispute sul celebre saggio di Benedetto Croce, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2024, pagine 255, euro 18,00. Sia la Prefazione (pagine 11-15) di Eugenio Mazzarella - filosofo e, come si autodefinisce, «uomo cristiano… alla trascendenza ragionevolmente obbligato da quel che vedo nell’immanenza» (pagina 13), sia la Postfazione di Dino Cofrancesco (pagine 231-249: un vero saggio dopo il saggio!) che precisamente, come si legge nel titolo, offre «un modesto non filosofico commento al saggio di Ortensio Zecchino» (pagina 231), già mettono bene, seppure sinteticamente, in evidenza i vari profili emergenti nella ricerca di Ortensio Zecchino. Soprattutto enucleano i temi di fondo del saggio, che Benedetto Croce pubblicò dieci giorni dopo una notte insonne del 16 agosto 1942, nel corso della quale gli balenò anche l’idea di scriverlo (pagina 5). Comparso su “La Critica” del 20 novembre 1942, con il famoso titolo Perché non possiamo non dirci “cristiani” (pagina 6), di questo saggio di Croce, redatto non senza «travaglio… in quei tempi terribili» (pagina 88, numero 79), Zecchino - convinto fondatamente che esso non vada letto isolatamente, bensì «in un continuum con gli altri della stessa stagione» (pagina 196), «nel contesto degli scritti usciti dalla penna di Croce in quei terribili anni tra agonia del fascismo e alba democratica» (pagina 138) -, esamina, dunque, le premesse, i contenuti e gli esiti; e di esso, fin dalle prime battute, chiarisce testo e contesto, come in una scena iniziale di un’azione teatrale, di cui il prosieguo delle pagine offrirà un’analisi meticolosa e un informatissimo svolgimento analitico, frutto anche di consultazioni d’archivio di cui si dà conto puntualmente nel corso dell’avvincente esposizione. Quello di Croce fu un saggio a cui arrise «una fortuna straordinaria», essendo peraltro edito «nel bel mezzo di una guerra “mondiale”», in un’«Europa» che «appariva ormai nazificata» (pagina 9) e allorché «nella primavera di quel ’42 erano cominciati a manifestarsi i primi scricchiolii del regime» fascista (pagina 10). Si andava ipotizzando la futura organizzazione di un Ordine nuovo, che coinvolgeva partiti, intellettuali e perfino la santa Sede. Ci ricorda il volume: «Nell’Università cattolica di Milano già alla fine del 1941 un gruppo di “professorini” aveva cominciato a riunirsi intorno a Giuseppe Dossetti… Nell’agosto del 1941 da Ventotene era partito il manifesto Per un’Europa libera e unita di Spinelli, Rossi e Colorni… Nel settembre di quel 1942 Alcide De Gasperi, con un manipolo di volontari, fondò a Milano la Democrazia cristiana, nella casa di Enrico Falk» (pagina 11). In seguito, i peculiari rapporti di Croce con il “caro De Gasperi” saranno intensi (l’ultima lettera di Croce a lui è del 25 gennaio 1951), come si vedrà particolarmente, morto Croce il 20 novembre 1952, nell’orazione in memoriam pronunciata da De Gasperi, in cui, come attesta la figlia, la voce commossa del padre manifestò i suoi sentimenti verso il “prezioso amico” (pagina 195). La lunga e informata ricognizione di Zecchino si conclude con la convincente osservazione che il saggio di Croce «non può essere letto isolatamente, ma in un continuum con gli altri della stessa stagione» (pagina 196); ovvero, «il saggio, per il tempo in cui fu scritto e per l’alto profilo impressogli, volle essere un appello al mondo… ma volle anche costituire… una forte motivazione ideologica per coagulare in Italia un’alleanza politica tra le forze sinceramente sensibili alla difesa della libertà» (pagina 201) Questo il contesto, nel quale vanno capite le dispute che lo scritto crociano susciterà e, periodicamente, suscita ancora. Zecchino le esamina pressoché tutte, offrendo comunque al lettore una lezione di metodo. Infatti, da un lato, si deve approfondire lo scritto, tenendo conto dello stato d’animo di Croce e delle cose già manifestate fin dalla Filosofia della pratica del 1908 (pagina 70) – il filosofo aveva già fatto cenno ad alcuni aspetti nel Soliloquio di un vecchio filosofo del 1942 (pagina 66), e vi aveva posto come le premesse in un suo saggio del 1940, intitolato Il beneficio di Cristo (pagina 68). In sintesi, Croce «si sentiva gravato dal dovere di non tacere e di far sentire la sua voce» (pagina 13). Dall’altro lato, annota e realizza Zecchino, si deve fare la pignola ricostruzione di tutti gli interventi interpretativi, anche critici, che furono suscitati dal grande clamore generato dal saggio crociano (pagina 15), a partire dall’esame dell’«argomento principe di parte cattolica». In questa parte, s’ipotizzò «che dietro l’apertura crociana si celava – cosa scontata – una visione storicistica e immanentistica, in insanabile contrasto con la visione trascendente propria del ...
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