Cassino, 4 ottobre 2024 Pasquale Giustiniani Presentazione dei volumi XI e XII della serie “Civitas et humanitas”, concernenti rispettivamente Crisi delle ideologie e nuove istanze etico-sociali e crisi della totalità e rischio sopravvivenza). 1. Questi Annali di cultura etico-politica, realizzati per l’iniziativa e la munificenza del prof. Alberto Nave – coordinatore del Movimento Civitas et Humanitas, generato in collegamento con l’Università del basso Lazio di Cassino – collegato al Centro per la Filosofia Italiana, oggi diretto da Aldo Meccariello con sede a Terni, possono oggi celebrare ben due volumi XI e XII della serie. Entrambi ci aiutano a porre sotto i riflettori della nostra luce intellettual piena d’amore (Paradiso, canto XXX, v. 40), due profili notevoli, riletti significativamente entrambi sotto il profilo della crisi, alla quale alcuni degli Autori del volume oppongono possibili uscite nella via dell’etica e perfino nella via del religioso. Già Pareyson concepiva l’idea di Dio come cruciale nella definizione dell’esistenzialismo come filosofia del finito, destinata a risolversi, come filosofia della scelta, nello spiritualismo. Per Pareyson la crisi storica è una crisi culturale ed anzitutto filosofica: la crisi della filosofia, per cui, con un chiasmo dalla tonalità tipicamente castelliana, la filosofia della crisi è la crisi della filosofia, è la crisi dell’idealismo nel suo culmine hegeliano A sua volta, Castelli è colui che più rimane, anch’egli problematicamente, legato all’idea dell’esistenzialismo come filosofia della crisi intesa come strutturale. Le riflessioni di Castelli. che introducevano il numero unico di «Archivio di filosofia» del 1945 e anche il senso politico dell’organizzazione del congresso del 1946, indirizzavano a quel tempo verso la lettura più facile a livello superficiale: la crisi è il baratro in cui il mondo intero e l’Europa ancor più si trovano precipitate alla fine della seconda guerra mondiale, il baratro della distruzione materiale, dei milioni di morti, dello sterminio nei campi di concentramento e di sterminio, di cui si aveva ancora scarsa consapevolezza, della disumanizzazione retaggio dei totalitarismi. L’esistenzialismo sarebbe, come filosofia strettamente connessa alla vita e filosofia dell’impegno e della responsabilità individuali, la possibile risposta culturale di contro alle astrazioni metafisiche proprie dell’idealismo e dei suoi epigoni. L’esistenzialismo cristiano, qualificato da questi Autori, come filosofia della crisi non poteva che tradursi nella crisi della filosofia, per cui l’alternativa dell’esistenzialismo cristiano fonda lo spiritualismo, fornendo le ragioni della scelta, fatta la quale si può riprendere a filosofare, nonostante la crisi. L’esistenzialismo cristiano, che Castelli si intestava con riluttanza, certamente non si presenta come una filosofia di transito verso un’altra, e neppure come una fondazione nel senso prospettato da Pareyson. L’esclusione che ne dava Castelli è un crinale sottile, ma netto: «Una filosofia cristiana è possibile se è anti-intellettualista», ovvero se è una filosofia edificante e persuasiva, vale a dire una filosofia che assume l’incomprensibilità ultima dell’esistenza e della scelta. 2. Nel sempiterno contrasto tra crisi e progresso, tra forza conoscitiva e trasformativa della persona umana e imprevedibilità delle sue creazioni, si ripropone il senso del limite umano, limite che, apparentemente superato o spostato sempre più avanti, si ripresenta sotto l’aspetto dell’assoluta imprevedibilità di tutte le conseguenze delle scelte che si fanno: si tratta di una crisi ecologica e ambientale totale, che non risparmia più nessun recesso del nostro pianeta; siamo nella crisi e nell’eclissi totale di grandi idee guida del passato che avevano mantenuto e sostenuto ogni sviluppo sociale e civile i motivi nascosti che restano occulti e inesplorati degli attuali sconvolgimenti; si tratta di una rovinosa parabola del nostro tempo, in cui una fede nel “progresso” ,propria di tempi che sempre di più si allontanano dal nostro, dalle certezze della modernità sono ormai soppiantate dal “post-moderno”, che sembra aver messo in crisi e in questione ogni possibilità. In un libretto stimolante, acuto e vivace, “Il quarto uomo. Postmodernità o crisi della modernità”, Gianfranco Morra delineava con efficacia le tappe della parabola discendente dell’autocomprensione dell’uomo nell’Occidente: il “primo” uomo è l’ homo theoreticus, il cosmotheoròs dell’antichità greca, l’uomo che scopre mediante la meraviglia e lo stupore le sorgenti della “filo-sofia”, perché ogni sapere che l’uomo può conseguire è innanzitutto philìa, amicizia, del sophòn, del sapiente, che può essere solo il dio; e tale è anche come scienza, e non solo come logica e dialettica di concetti puri; ...