• Dall’ingaggio alla strategia: trasformare i creator in asset di business sostenibile (parte II)
    May 30 2025

    In un mercato in cui i contenuti digitali sono per la gran parte disponibili gratuitamente per l’utente finale, la sostenibilità economica dei creator passa dalla pubblicità: l’azienda deve quindi considerarli veri e propri partner media, inserendo questa voce di spesa a bilancio con gli stessi criteri di efficacia e misurabilità riservati a TV o stampa.

    Torniamo a parlarne in questa seconda puntata con Aurora Cavallo, creatrice del brand Cooker Girl.

    Le collaborazioni di lungo periodo - ricorda Aurora, che vanta accordi pluriennali con brand di cookware — rafforzano la credibilità presso il pubblico e consentono di monitorare non solo la reach ma anche la coerenza d’uso del prodotto sul medio periodo, trasformando i post sponsorizzati in proof point continui.

    Il discrimine tra semplice creator e professionista sta nella puntualità delle consegne, nella disponibilità ai rework e nella capacità di co-progettare la campagna; fattori che riducono il rischio operativo per il brand.

    Come integriamo oggi questi indicatori nei nostri processi di sourcing? La selezione del partner non può prescindere dall’allineamento etico e di contesto: rifiutare sponsorship fuori categoria o lontane dai valori dichiarati tutela la reputazione di entrambe le parti e limita le frizioni con le community.

    Nei progetti corporate più strutturati, il brief tende a essere prescrittivo; l’esperienza di Aurora suggerisce di prevenire conflitti con controproposte puntuali, evitando contenuti rigidi che l’utente ignora. L’azienda è pronta a trattare il creator come consulente editoriale e non come semplice esecutore?

    Errori ricorrenti: ignorare il tone of voice per cui il creator è stato scelto, imporre copy innaturali, lanciare prodotti con nomi impronunciabili, privilegiare il messaggio verbale a scapito della resa visiva e dell’opportunità di agganciare trend audio-visivi che moltiplicherebbero la reach.

    Quando il contratto si estende su base annuale, il creator assume un ruolo consulenziale, offrendo insight per i contenuti corporate al di fuori dei propri canali: una competenza di storytelling già inclusa nel costo della partnership che conviene capitalizzare con processi interni disposti ad ascoltare.

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  • L’IA non pensa, ma ci costringe a pensare
    May 16 2025

    Nel nostro dialogo con Riccardo Manzotti, ordinario di filosofia teoretica allo IULM di Milano, emerge una riflessione profonda e controcorrente sull’intelligenza artificiale, affrontata non dal punto di vista tecnico, ma da quello più inquietante e strategico: che cosa significa davvero pensare, e cosa ci distingue - se ancora qualcosa ci distingue - da un sistema algoritmico capace di linguaggio.

    L’intelligenza artificiale generativa oggi non è pensante nel senso classico, sostiene Riccardo Manzotti, e forse nemmeno noi lo siamo nel modo in cui ci siamo raccontati. Il pensiero, tradizionalmente legato a un “io interiore”, non è mai stato individuato scientificamente. E allora: abbiamo davvero bisogno del concetto di pensiero individuale per spiegare le capacità cognitive, oppure è un residuo animista che possiamo abbandonare?

    L’AI lavora diversamente da noi: parte dalla conoscenza e dal linguaggio, mentre l’evoluzione umana ha prima dato corpo e volontà, poi parola. È quindi legittimo chiedersi: stiamo davvero saltando le tappe, oppure stiamo invertendo la direzione evolutiva? E in questa inversione, quali sono i rischi, ma anche le opportunità strategiche per le organizzazioni?

    Un punto chiave per le imprese è comprendere che ciò che definiamo “intelligenza” non presuppone necessariamente coscienza o intenzione. Gli LLM (Large Language Models) non hanno uno scopo proprio: trasformano l’informazione in conoscenza, ma non “vogliono” nulla. Tuttavia, l’asimmetria tra linguaggio e volontà apre scenari complessi. Siamo pronti a riconoscere il momento in cui un sistema smette di essere uno strumento e inizia a essere un soggetto? E in quel momento, con quali criteri etici e giuridici dovremo trattarlo?

    Per le aziende, la posta in gioco non è solo l’adozione efficiente dell’AI, ma la capacità di interfacciarsi con un “agente” che imita - e forse supererà - le dinamiche sociali e cognitive umane. L’AI è uno specchio: ci mostra ciò che siamo, e ciò che potremmo perdere. La differenza cruciale, secondo Manzotti, resta nella nostra capacità di creare l’incommensurabile, di dare valore, di concepire ciò che ancora non esiste.

    In questo quadro, la domanda decisiva non è tanto “cosa può fare l’AI per noi”, quanto “cosa dice di noi il modo in cui costruiamo e usiamo l’AI”. E soprattutto: saremo capaci di distinguerci, o ci limiteremo ad allenare una macchina a diventare più umana di noi?

    Proveremo a dare risposte a queste e ad altre domande. Buon ascolto!

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  • Ogni prodotto è una piattaforma: il futuro dell’autenticità nel fashion e oltre
    May 9 2025

    Mentre il dibattito sulle fake news continua ad animare il panorama mediatico, un altro tipo di falsificazione colpisce in modo altrettanto grave il tessuto economico: la contraffazione dei prodotti. Nell’intervista a Radio Next, Michele Casucci, CEO di Certilogo, ha offerto una prospettiva nitida sul valore strategico dell’autenticità, soprattutto per settori come moda, lusso e design. L’autenticazione, sostiene Casucci, non è solo una questione di sicurezza per il consumatore, ma un asset competitivo per le imprese.


    Come si garantisce oggi, concretamente, che un prodotto sia autentico? La risposta sta in sistemi di identificazione digitale applicati fin dalla fabbricazione — tag NFC o QR code univoci — capaci di contenere informazioni che vanno dalla semplice conferma dell’autenticità fino a dettagli su provenienza, materiali e impatto ambientale. Tutto accessibile con uno smartphone. Non si tratta solo di bloccare le imitazioni, ma di offrire ai brand un canale diretto e certificato di relazione con il cliente finale.


    Ma qual è la reazione del mercato? L'adozione di questi strumenti, inizialmente percepiti come un "nice to have", è oggi spinta dall’evoluzione normativa. Il Digital Product Passport europeo, atteso per il 2027, imporrà alle imprese l’obbligo di dotare i propri prodotti di un’identità digitale tracciabile. È un cambiamento sistemico, destinato a impattare l’intera filiera — dalla produzione al second-hand — abilitando modelli di economia circolare e strategie di post-vendita basate sulla trasparenza.


    Il second hand stesso, fenomeno in crescita esponenziale, trae beneficio diretto da queste tecnologie. La possibilità di rivendere un prodotto usato con una certificazione di autenticità e una “storia” tracciabile ne aumenta valore e fiducia, rendendo concreta l’idea di un mercato sostenibile e sicuro. In questo contesto, l’acquisizione di Certilogo da parte di eBay mostra chiaramente come l’autenticazione digitale diventi un'infrastruttura chiave per i marketplace del futuro.


    Non si tratta quindi solo di difendersi dalla contraffazione, ma di ripensare il prodotto fisico come veicolo di servizi, contenuti e relazioni. La domanda che ogni impresa dovrebbe porsi è: siamo pronti a trasformare ogni nostro prodotto in un touchpoint digitale credibile e interoperabile?

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  • Dal prompt al posizionamento: come cambia il lavoro del marketer
    May 2 2025

    Il marketing tecnologico è entrato in una nuova fase, e non è più una questione di avere più dati, ma di capire quali usare, come e quando. Giorgio Spina, ai microfoni di Radio Next, ha tracciato un quadro nitido della transizione in corso nel MarTech: le piattaforme non crescono più linearmente ma si muovono su una curva esponenziale, spinte dalla diffusione capillare dell’intelligenza artificiale.


    Ma cosa significa davvero per un’azienda questa “crescita quantica”? Significa poter contare su strumenti che non si limitano a fornire dati, ma suggeriscono risposte, soluzioni, scelte. Non siamo più in una biblioteca, ma davanti a un bibliotecario esperto che sa dove guardare. Il cambio di paradigma si riflette concretamente in attività come la SEO, che non può più essere pensata solo per Google ma per un ecosistema che include motori come Perplexity o ChatGPT, capaci di “interpretare” piuttosto che indicizzare.


    Le piattaforme AI-based, come quelle adottate da Execus, spingono le aziende a ripensare sia le strategie di advertising sia il modo in cui si costruiscono i contenuti. In questa fase di passaggio, tuttavia, molte realtà mantengono un approccio duale: strumenti basati su intelligenza artificiale da un lato e attività “manuali” dall’altro, spesso gestite da team interni di data scientist. È il prezzo di una transizione che richiede ancora discernimento umano.


    Quanto può contare oggi, quindi, un contenuto ben pensato? Quanto siamo disposti ad affidarne l’efficacia agli algoritmi? Secondo Giorgio Spina, saper scrivere un prompt efficace sta diventando una soft skill strategica: non si tratta solo di usare strumenti, ma di saperli orientare, partendo da una comprensione profonda del contesto.


    Per le PMI italiane, spesso più lente nel recepire cambiamenti rapidi, la chiave potrebbe essere esterna: partner, consulenti, figure ponte capaci di tradurre le potenzialità dell’AI nella pratica quotidiana, senza forzature ma con visione. Perché l’unica vera scelta, oggi, è decidere se cavalcare l’onda o aspettare che passi. E in questo caso, l’onda non passa.

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  • Ripensare l'impresa con l'AI: alla scoperta di AI Week (parte II)
    Apr 25 2025

    Proseguiamo in questa seconda puntata l'approfondimento sui temi dell'AI Week, che si terrà a Milano il 13 e 14 maggio, affrontando il tema dell'introduzione dell'AI nelle imprese strutturate - come Publicis Sapient o Brembo Solutions. Come si lavora per costruire framework e laboratori interni che ne orientino l’adozione con metodo, responsabilità e visione di lungo termine?

    Newsguard mantiene un approccio puramente giornalistico, limitando l’uso dell’AI a funzioni di supporto come la sintesi o la titolazione, ma senza mai rinunciare alla supervisione umana e alla trasparenza. L’intelligenza artificiale può essere un’alleata, ma chi scriverà domani gli articoli? La risposta, secondo Virginia Padovese, resta: “i giornalisti”. La fiducia e il coinvolgimento attivo dei lettori, uniti a percorsi formativi mirati, sono i cardini per una convivenza sostenibile tra AI e informazione.

    E nelle grandi agenzie internazionali? Marco Barbarini spiega come Publicis Sapient abbia strutturato un framework chiamato Level Up per misurare e indirizzare l’impatto dell’AI nei progetti con i clienti, supportato da un AI Lab trasversale che integra competenze ibride. “Il nostro obiettivo non è sostituire le persone, ma potenziarle: come Iron Man, con l’AI che fa da tuta e potenzia chi la guida”.

    La metafora del supereroe si trasforma in pragmatismo in aziende più tradizionali. Fabio Menichini racconta come, in Brembo Solutions, l’introduzione dell’AI abbia richiesto prima di tutto un lavoro culturale: far evolvere i processi da experience driven a data driven valorizzando però l’esperienza. Il loro Inspiration Lab in California è un avamposto di innovazione, ma le soluzioni devono poi essere applicabili nei contesti reali, dai reparti qualità a quelli ingegneristici, valorizzando le competenze locali.

    Come colmare allora il gap europeo in tema di AI? La risposta sembra univoca: investimenti, metodo, pratica. Ma serve anche coraggio per valorizzare eccellenze come l’artigianalità nel fashion, la creatività applicata o la fiducia nelle nuove generazioni. La trasformazione è in corso: la differenza la farà chi saprà coniugare il talento umano con le potenzialità tecnologiche.

    E se vi foste persi la prima puntata, potete trovarla qui

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  • Ripensare l’impresa con l’AI: alla scoperta di AI Week 2025 (parte I)
    Apr 18 2025

    L’AI Week si conferma un punto d’incontro cruciale per chi nelle aziende sta cercando di comprendere come applicare concretamente l’intelligenza artificiale e per chi invece è pronto a raccontarne sviluppi e impatti. La prossima edizione del 13-14 maggio a Milano si presenta con un taglio internazionale - doppia lingua, traduzione simultanea - e un programma ricco che spazia dai casi applicativi ai temi etici e normativi.

    Il valore dell’evento emerge in particolare dalla varietà degli interventi. Ai nostri microfoni abbiamo invitato il con-fondatore dell'organizzazione Giacinto Fiore e tre dei protagonisti che saliranno sul main stage della manifestazione per farci dare un assaggio in anteprima dei contenuti che troveremo. Virginia Padovese, Managing Editor e Senior Vice President Partnership per Europa, Australia e Nuova Zelanda di NewsGuard, porterà sul palco una riflessione strutturata sul ruolo dell’AI nella produzione e diffusione della disinformazione: non tanto sulle singole fake news, quanto sulla valutazione di affidabilità delle fonti stesse. Un tema chiave per le aziende che oggi devono proteggere la propria reputazione, ma anche per chi sviluppa strumenti AI basati su dataset online. Quanto siamo sicuri che i modelli generativi non stiano semplicemente amplificando errori preesistenti? E che cosa accade quando il tasso di errore dei bot arriva fino al 62%?

    Il punto di vista di Marco Barbarini, Senior Director e General Manager Italy presso Publicis Sapient, introdurrà invece il nodo della trasformazione sostenibile: l’adozione dell’AI, per generare un vero impatto, deve passare da un cambiamento culturale e organizzativo, non solo tecnologico. Tra governance da ripensare e nuove competenze da introdurre, il problema non è tanto scegliere lo strumento giusto, quanto far sì che le aziende siano pronte a usarlo. In particolare, emerge una frattura: il middle management è spesso l’anello debole nella catena di adozione. Come superare questa resistenza?

    Sul fronte industriale, Fabio Menichini, Senior Manager di Brembo Solutions, presenteràa una case history concreta: Alchemix, un’applicazione AI per la generazione di formulazioni chimiche, ha ridotto da settimane a pochi minuti il ciclo di sviluppo delle pastiglie freno. Ma ciò che colpisce è l’estensione del modello a settori lontani come moda, food o pharma. L’AI diventa qui un abilitatore di “ricerca aumentata”, capace di valorizzare il know-how degli specialisti anziché sostituirli. Un caso di serendipità industriale: tecnologie sviluppate per individuare cricche nei freni si rivelano efficaci anche nel riconoscimento di difetti sui tessuti.

    L’intelligenza artificiale, dunque, entra in azienda in forme molto diverse ma sempre con un requisito chiave: comprendere bene dove e come può realmente abilitare nuovi processi. E il cambiamento, ancora una volta, parte dalle persone.

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  • Industria pesante, intelligenza leggera: l’età delle macchine e la sfida dell’industria 4.0
    Apr 11 2025

    In un contesto industriale caratterizzato da impianti di dimensioni monumentali e da cicli produttivi stratificati, il progetto di interconnessione digitale avviato da KME Italy nello stabilimento di Fornaci di Barga rappresenta un esempio concreto di come anche le realtà più tradizionalmente "analogiche" possano evolvere verso una logica data-driven. Le macchine coinvolte nel processo, molte delle quali con oltre trent’anni di attività alle spalle, sono state il punto di partenza di una trasformazione che mira a conciliare sostenibilità, efficienza e continuità operativa.

    Come si rende “intelligente” una macchina progettata prima dell’era di Internet? La risposta non è banale e passa per la creazione di un’infrastruttura digitale capace di leggere, estrarre e correlare le informazioni presenti nei PLC di impianto. Il vero salto non è stato solo tecnologico, ma culturale: riconoscere il valore nascosto nei dati, spesso non utilizzati, ha permesso all’azienda di identificare margini di miglioramento su aspetti come la qualità, i tempi di intervento e soprattutto il consumo energetico.

    L’obiettivo del progetto, in fase avanzata di implementazione, è quello di interconnettere almeno sette macchine fondamentali lungo la linea di produzione, inclusi anche i sistemi ausiliari. Il partner tecnologico Alleantia e la piattaforma di analisi SAS hanno avuto un ruolo chiave nel creare un ecosistema in grado di dialogare con i macchinari, restituendo insight utili e immediatamente operativi. Una delle prime evidenze emerse? La conferma che “i processi storici” spesso congelano margini di miglioramento ancora inesplorati.

    Digitalizzare non è solo una questione di efficienza, ma una leva per ridurre i costi strutturali e aumentare la resilienza. Il collegamento con il sistema fotovoltaico installato due anni fa, ad esempio, consente oggi a KME di gestire in modo intelligente l’autoconsumo, correlando i picchi produttivi con la disponibilità energetica.

    A livello organizzativo, l’interconnessione apre lo spazio a nuove professionalità, come l’OT Manager, ponte tra operations e IT, che si affianca ai team di ingegneria di processo. Il messaggio è chiaro: integrare tecnologie e competenze è la chiave per una manifattura più competitiva e sostenibile. E come suggerisce Fanucci, il primo errore da evitare è sottovalutare il potenziale che i dati – anche quelli delle macchine più anziane – possono sbloccare.

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  • Non solo investire, ma co-creare: il modello insurtech di Vittoria Assicurazioni
    Apr 4 2025

    Non è semplice per un’impresa tradizionale come una compagnia assicurativa aprirsi davvero all’innovazione, ma Vittoria Assicurazioni lo ha fatto con determinazione, avviando già dal 2019 un hub di open innovation che ha saputo mescolare visione strategica, impegno operativo e una comprensione profonda della trasformazione digitale. L’elemento distintivo? Non limitarsi a investire in start-up, ma co-creare, accelerandole a immagine e somiglianza dei bisogni reali della compagnia.

    Nel mondo assicurativo, spesso percepito come resistente al cambiamento, questo approccio rompe gli schemi: invece di cercare soluzioni pronte all’esterno, Vittoria ha scelto di guardarsi “allo specchio”, accompagnando le start-up lungo un percorso che include prevenzione, assistenza, monitoraggio del rischio e, naturalmente, assicurazione. Il tutto organizzato in quattro ecosistemi: casa, persona, mobilità e impresa connessa. Ma perché rischiare con un hub invece di acquisire soluzioni esistenti? "Perché solo così puoi ottenere un’aderenza autentica tra innovazione e modello operativo", risponde Nicolò Soresina, CEO di Vittoria Hub.

    Il valore generato non è solo economico, anzi. Dopo 600 candidature ricevute in cinque anni e una ventina di start-up accelerate, i risultati più interessanti riguardano cultura, know-how, nuovi metodi di lavoro. L’hub ha trasformato anche il mindset interno, favorendo un dialogo più fluido tra il mondo delle start-up e quello delle grandi organizzazioni.

    Ma allora, cosa serve davvero per costruire un hub efficace in azienda? Secondo Nicolò, è questione di metodo, pazienza e una regia mista: servono esperienze che arrivano da fuori, ma anche competenze che crescono dentro. E soprattutto un commitment reale del top management. "Per far avanzare l’innovazione - spiega - non serve un lancio da 40 metri come nel football americano, ma un avanzamento collettivo, compatto, come nel rugby".

    L’esperienza di Vittoria Assicurazioni rappresenta un caso concreto di come anche le realtà più strutturate possano diventare agenti attivi di innovazione, a patto di voler davvero "giocare la partita" con regole nuove. Un modello replicabile? Forse. Ma solo per chi è disposto a investire, prima di tutto, in cambiamento culturale.

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